Canalblog
Suivre ce blog Administration + Créer mon blog

BIENVENUE CHEZ RENATO

BIENVENUE CHEZ RENATO
Publicité
Archives
23 novembre 2007

lettera dal deserto

« Vai, che sarà bellissima ! » mi fa Père Jean-Pierre, priore dei trappisti, sorridendo, sicuro di sè. Sí, sarà vero. L’esperienza di una settimana nel deserto, in pieno Sahara, nella casbah di Ibrahim, grande amico del monastero, sarà indimenticabile.

Chi mi aveva messo l’idea era Don Matteo, parroco a Fès, che ci va otto giorni ogni anno… un abbonamento. É per « pregare Dio », mi raccomanda di dire loro, al telefono. Formula magica. Dopo quattro ore su un bus sgangherato fino a Erfoud, ai bordi del deserto, mi vengono a prendere come una baraka. Come una benedizione.

E dopo una trentina di km desertici, eccomi in una splendida casbah. Senza ospiti o turisti, sono solo. Ai monaci al telefono, alla sera, ansiosi se ho trovato il posto… sí, escatologico ! E, infatti, cosí è. Il paradiso di Allah. A parte la mancanza, come immaginerete, delle bellissime houris

Mi accompagnano nella stanza piú bella, tranquillissima, con tappeti e cuscini in ogni dove, perfino nella sala da bagno. Tutto per facilitare la vostra preghiera… A cena e a colazione non c’è orario. Quando vi piace. Quando mi siedo, mi servono. Sulla terrazza o nel giardino o all’interno, come preferite. Tutta la grande casbah è a disposizione… dell’uomo di preghiera. Mohammed, il giovane cameriere poliglotta, seduto accanto alla porta tra l’interno e l’esterno, non vi perde mai di vista. Appena vi vede arrivare e sedere, (io, apposta, cambio sempre orario) parte all’attacco… per servirvi con un’eleganza e un’attenzione  rare. Farvi piacere è il loro piú grande piacere. Suor Monique, infatti, mi confessava : « Ora, staró ben attenta a fare dei complimenti… l’altro giorno, dicendo a Fatima, che collana stupenda ! me la sono trovata subito al collo. Tientela ! mi ha risposto senza remissione, avendo intuito che… mi faceva piacere ». Una dinamica, questa, che insegue il musulmano fino in paradiso : sarà beato, unicamente, per aver soddisfatto Allah. Come ogni servitore, per il suo padrone. Abdallah.

Ma qui avverti anche la grandezza di sentirti un essere vivente. Gloria Dei vivens homo. Un paesaggio grandioso che ti spoglia e ti riempie, allo stesso tempo, e ti fa camminare nudo della tua umanità in mezzo a un universo minerale spettacolare. Emozionante. Vastissimo. É il mondo prima della nascita dell'uomo. Paradossalmente, qui un essere umano, costata Théodore Monod, « non sente piú la sua esistenza come un lampo sulla terra ». Camminare, sentire solo il rumore dei tuoi passi sotto il cielo immenso del Sahara. Una calotta gigantesca ti sovrasta e va da un capo all’altro della terra. E l’amplissimo orizzonte ti da il senso di uno spazio e di una libertà infiniti, che tocchi con mano... Il deserto ti lavora come « uomo cosmico, autentico, spoglio delle sue inutilità » egli  aggiunge. Solo una bottiglia d’acqua, la bibbia e… quel mantra, preghiera incessante, del pellegrino russo che ti scava l’anima ( Seigneur Jésus, fils de Dieu Sauveur, prends pitié de moi, pécheur ! ) mi tengono compagnia tutto il giorno. Torno a casa, cosí, solo al tramonto. Nel regno di Allah.

Camminare è « apertura al mondo, che invita all'umiltà, a cogliere avidamente l'istante, all'apprendimento attraverso il corpo e tutti i sensi dell'esistenza… E traccia un cammino non solo nello spazio, ma dentro di  sè, conduce a percorrere le sinuosità del mondo, ma anche le proprie, in  un atteggiamento di ricettività e di alleanza ». Cosí, un sociologo. Il camminare, infatti, ti immerge in « una forma attiva di meditazione, che sollecita la tua piena sensorialità ». Dopo tutto un giorno cosí, impari a vivere «con  meno artificio, meno rumore, meno furore » assicura T.Monod, grande appassionato di deserti. Solitario, assapori ogni cosa, ogni istante, ogni raro volto, che incontri. Il Sahara « ci insegna a non lamentarci, a non parlare inutilmente » egli precisa saggiamente. « Il deserto… vi lima l’anima, vi insegna i gesti in simbiosi con il corpo e una certa lentezza interiore. Il deserto ci da la nozione di immensità, del tempo, dell’eternità ». Dopo tutta una giornata desertica, vagando ramingo come un antico ebreo, la gioia, alla sera, di essere accolto dalla verdissima oasi musulmana di Ibrahim e… da squisite delikatessen berbere. In tavola.

Ma, ecco una massima sempre vera : «Non si è mai cosí meno soli, di quando si è soli ». Prepotente, emerge tutta la tua vita, la tua storia. Il tanto male e il bene che hai fatto. Il camminare « traccia un sentiero, che risaleil tempo e libera i ricordi» direbbe qualcuno. Capisco come bene e male hanno il loro confine proprio nel mio cuore stesso. Non tra uomo e uomo. Non hai piú, allora, il coraggio di demonizzare o di angelizzare qualcuno. Nell'intimo di ognuno, bene e male coabitano e lottano… Impari a valutare, cosí, unicamente i frutti. I fatti. Senza infierire sulle persone. Segnate, come te, da un’ambivalenza originaria. Cosí è, in fondo, anche la vera pace : « non è l’assenza di contraddizioni » osserva Thomas Merton.  Ma è « l’armonia segreta delle tensioni contrarie ».

Il deserto fa emergere tutti i tuoi idoli. E ti illumina sul senso vero di idolo e del suo contrario. Idolo, icona : stesso termine, stesse relazioni (allo sguardo, al sacro, al bello), opposta dinamica. Comprendi come l’idolo concentra tutte le forze, l’attenzione, il potere. Autoreferenziale, per eccellenza. L’icona, al contrario, rinvia ad altro, a qualcosa di piú grande… Non è che un raggio della luce del divino. Del trascendente. E cosí, mi faccio idolo quando vivo un protagonismo eccessivo, un attivismo esagerato. Mi metto al centro dell’ammirazione, dell’attività o dell’obbedienza degli altri. Ansiosamente e dappertutto cerco sempre un piedistallo. Idolo, quando ci si arroga ogni forza, ci si identifica a Dio o alla sua volontà.

Sarà la preghiera che ti renderà icona : essa stessa, icona della presenza di Dio, che desideri al tuo fianco.

Ogni leader, allora, sarà sempre icona. Perchè, come ripete da sempre G.Sovernigo :

« egli è colui che cammina accanto, un passo innanzi ». Sarà qualcuno in ricerca accanto e insieme a te. Sí, in ricerca di qualcuno piú grande e della sua volontà su di te. O di qualcosa di piú grande di te solo : la tua comunità, una famiglia, che dovrai far vivere ed esistere. Perchè, come ricorda un bel proverbio indiano : « i miracoli sono compiuti dagli uomini uniti ». Idolo, icona. Perfino la sessualità vive questa ambivalenza. Solo quando esprimerà quel senso grandioso della vita come danza e come lotta da fare insieme, allora sí, sarà icona. Insuperabile.

E il deserto mi riporta alla figura di Abramo, di Mosè, di tanti altri leaders… Perchè esserlo significa che hai il carisma della speranza (la qualità piú bella e radicata nel migrante) e il carisma della fiducia. Non sarai un realista, un gestore, tout court… Il deserto ti insegna a distiguere tra la gente un leader. Dagli occhi. Ha lo sguardo differente da ogni altro. Gli occhi gli brillano : ha una visione davanti a lui. Vede il mondo che sarà. Sa captare il futuro che sta nascendo. Avverte i bisogni nuovi e vitali di un popolo che cammina… e ció diventa una forza mobilizzatrice per lui. Per gli altri. Ogni rivelazione, infatti, nella bibbia è sempre missione. Ma egli possiede uno sguardo vivo anche sui suoi uomini. In loro sa risvegliare le forze migliori. Le intravvede, le chiama alla vita, al cammino, alle sfide… Non incastra, ma suscita. Incoraggia. Stimola, potentemente. Signore, presta i tuoi occhi ai nostri leaders, dovrebbe essere la nostra preghiera. Quotidiana.

Ricordo di avere incontrato degli uomini, che sono icona. Solidi, di una solidità tutta interiore. Forti, di una forza spirituale che ti incanta. Fragili, di quella fragilità che ti commuove. Fanno posto a Dio e a ogni suo fruscio di vento. Fanno appello a lui, in ogni istante. Anche se di fronte a loro dici qualcosa fuori posto o mal posto, tutto viene accolto e contemplato. Se lanci un grido di dolore, un interrogativo grave, questo fa breccia… e semmai, dopo giorni, ti viene ripreso, ricordato e forse, risolto. Eppoi, una tridimensionalità che impressiona : lui, te e Dio accanto a lui. Tutto lo penetra, lo interpella. Ascolto o discernimento si fanno per lui atteggiamenti profondi. Quasi naturali… Ti fa esistere come sei, nella tua alterità. E ció ti fa ripetere, ammirando : « L’ideale del saggio è un orecchio che ascolta » (Siracide).

Curiosa, invece, la reazione di altri : appena manifesti una visione differente, un interrogativo, il tuo punto di vista, semplicemente, scattano immediati dei meccanismi di difesa. Reazione epidermica. Ti senti solo davanti a lui.  Dio è scomparso, forse. «Se pensi come me, sei mio fratello » riflette un saggio africano, Amadou Hampté Ba. « Se pensi diversamente da me, sei due volte mio fratello. Perchè grazie alla ricchezza che mi porti e a quella che ti do, ci arricchiamo reciprocamente ».

Dopo ore di cammino - nei miei trenta chilometri di deserto quotidiano - incontro dei bambini berberi proprio sul costone di un promontorio, da cui mi guardavano lungamente, da lontano… Nomadi. Dietro di loro, ora intravvedo un accampamento poverissimo, qualche capra, nere tende berbere, sparse disordinatamente... Cosí, crescono questi abitanti, mi dico : in una mano, la miseria quotidiana e nell’altra, il dono di Allah, una visione del mondo, che ti toglie il respiro. Per la bellezza. In qualsiasi altro spazio, allora, come non  sentirsi proprio prigionieri ?! E penso quanto sia importante educare i nostri giovani a delle visioni belle, grandiose, radicali, coraggiose… solo cosí sapranno portare le tante miserie di una vita. Ma, in fondo, non è vero, forse!?

Dopo un’ora, arrivo a una montagna, non lontano dall’Algeria. Scavano un bulldozer e degli operai. É una pietra nera, che affiora anche in superficie, infarcita di fossili, trilobiti, ammoniti di milioni di anni fa. Un operaio mi fa : « qui vicino alla montagna è il giurassico e lí, accanto, il cretaceo... » Si spiega con quella bella spontaneità, che sembra indicare dei suoi vicini di casa. E, invece, sono periodi geologici tra i 200 e 65 milioni di anni fa… Tutto il povero villaggio vicino lavora i fossili. E cosí, mi piombano davanti due giovani, in una bicicletta, con dietro legata una scatola in ferro: il loro tesoro fossile. Chiedo la loro età. E provo a ripetere tre volte: thamantàchaar… 18 anni, 19 anni, e… 200 milioni di anni, indicando la scatola nera. Mi guardano, sovrappensiero, al paragone… Ma, forse, sarà per una pronuncia araba troppo originale... Cortese, rifiuto di fare acquisti. Ed allora, ecco, me ne regalano un paio. Strana logica, ancora una volta, di questo popolo, povero e meraviglioso, dove i giovani, tutti, vorrebbero scappare, emigrare altrove…

Ancora camminando, incontro le tre grandi paure, che spesso mi invadono. Anzi, che ci invadono tutti, credo. La paura di morire. Ed è qui che penso con simpatia a quella suora, di qui : « vede, padre, la nostra congregazione quando deve chiudere una posizione, ne apre, di solito, una nuova. Piccola, ma significativa. In modo che non si creda che si stia morendo. Ma rivivendo, in modo diverso. Altrove». Mistero della fede ! esclamo tra me e me, senza che se ne accorga… Ma sí, veramente, mistero pasquale. Poi, una seconda paura si fa avanti, ma ben piú grande. La paura di vivere. Sí, di vivere veramente. Di respirare a pieni polmoni il nostro carisma missionario. Cioè, la comunione che esalta le nostre differenze. Le priorità, che attendono nuovo slancio missionario. Le emergenze, che esigono, oggi ancora, anime di pionieri… E, infine la terza paura, quella piú dura e piú difficile da estirpare. L'avrete immaginato… è la paura di amare. Perchè amare è perdersi. Ed è perdere tutto. Ma, solo chi cerca di amare sarà grande : è la promessa di Dio. E se per caso tu lo dimenticassi, Lui stesso lo ricorderà, un giorno. L’ultimo.

Al finire della notte, mi alzo, pensando ai monaci del monastero. Ed è quasi alla stessa ora. Ma, la preghiera è silenziosa. Guardare questi miliardi di stelle che ti sovrastano e ti fanno incantare. Eppoi, la luna, luminosissima in queste notti nere, che scende pian piano fin sul filo dell’orizzonte, per poi dirti addio. Le stelle si spengono. Mentre, dall’altra parte appare, soffice, una luminosità sempre piú viva, che prepara, incantevole, il sorgere del sole. Non senti la solita preghiera dell’alba dai minareti, nè il tocco discreto delle nostre campane. In un silenzio, che ti impressiona, è l’armonia della natura, che prepara la nascita piú sorprendente della vita: il giorno. Come milioni e milioni di anni fa, la contempli, ora, con i tuoi stessi occhi. Liturgia celeste grandiosa. Sei solo, al mondo. E non ti pare vero.

Ma è necessario « imparare a vivere nella solitudine,  per essere al cuore del mondo », raccomandava Thomas Merton, confratello dei nostri monaci. Soprattutto di P.Jean Claude, che gli assomiglia tanto spiritualmente e che mi parla, sorridendo, del suo «commercio triangolare» fra mondi… come i famosi negrieri di un tempo (tra Europa-Africa-Americhe, sempre con il carico pieno: o di cianfrusaglie o di schiavi o di zucchero). Ha fatto nove anni in un monastero del Benin, sei in un monastero trappista nel Massachusset, altri in Francia e in Inghilterra, ora qui, da due mesi… E resti cattivato dalle sue parole, dagli esempi, dai paragoni… Mi sorprende l’animus scalabriniano di questo trappista : valori e disvalori delle varie culture te li sa stendere davanti che è una meraviglia ! Senso vero del vivere la solitudine… É, questo, infatti, sempre un scendere in profondità. E vivere quella universalità, che ti lega invisibil-mente agli altri. Con passione.

Come, allora, non comprendere qui la vita delle Petites soeurs di Foucauld – sempre impegnate nella stressante prima linea di tutte le povertà dell’uomo – e la loro esigenza di  momenti di vera solitudine orante, in un tu-per-tu con Dio: un’ora al giorno, una nella notte, mezza giornata alla settimana, una settimana all’anno, un anno ogni dieci…?

Ma, al mattino, l’emozione mi prende sempre, quando mi lavo il viso.  Su una enorme coppa di quella pietra nera, piena di fossili di milioni di anni... Sí, noi coltiviamo l’uomo e le sue radici. Con il nostro carisma. Ma qui, lavandomi la faccia e i denti, mi metto a contemplare le radici dell’umanità intera! Anzi, della vita stessa. E mi chiedo semplicemente, davanti a questo scrigno di perennità, mah… chissà se vivró anch’io qualche breve anno, ancora. E cosí, dopo l’austerità trappista, la frugalità del monastero, l’essenzialità delle cose e dei modi… mi presento qui a far colazione. In tavola, ogni delizia. La festa.

La festa ! É quando, deposti gli strumenti di lavoro e le nostre armi quotidiane, metti gli abiti da festa, per celebrare la comunione. La festa unisce e riunisce. Riconcilia, annulla le esclusioni, esalta l’essenziale. Momento comunionale vivo, vitale, sorprendente. La festa canta la tua stessa identità. Ed è il luogo dove vivi il « noi ». La festa è una sosta. Una vera oasi, sul nostro cammino.

Ma, a piedi, dopo tre ore, eccomi arrivato alle dune di Merzouga. Le piú belle di tutto il Sahara. Bellezza impressionante. Dolcissime curve, fino all'altezza di ciquanta metri, si spiegano per una ventina di chilometri. Come vele al vento. Da lui si lasciano sfiorare, accarezzare, cesellare, ricamare… con una leggerezza e una disponibilità incredibili. Dal sole e dalle nuvole, invece, si lasciano rivestire di tutte le tonalità: giallo-ocra, arancione, giallo-dorato, marrone con ogni sua sfumatura possibile… Spettacolo unico. Sono solo, oggi. Sulla cresta di una duna. Ma mi vengono in mente i giovani della Missione e dell’Università, con cui venivo qui per anni. Incredibile nostalgia... Li rivedo ancora correre come caprioli, a piedi nudi, su e giú su queste montagne di sabbia finissima. Con il pericolo di perdersi… tanto facile qui, al calare improvviso della notte! O chiedere a un ragazzo berbero dov'era nato… e, stupiti, sentirsi rispondere "alla quarta duna!" 

Ma, ricordo ancora quando assistevamo al sorgere o al tramonto del sole. Immobili per la meraviglia. Momenti magici. O quando si celebrava l'eucarestia  sulla duna piú alta. Una messa sul mondo… Come dimenticare quando al momento del perdono posavamo l'orecchio su questa sabbia rossastra, in pieno Sahara, per auscultare la terra come il ventre di una donna. Ed era per provare a sentire il pianto di milioni di uomini, di donne, di bambini, di vite infelici sulla terra, vite inumane, impossibili, sradicate dagli eventi e, semmai, migranti… E chiedere perdono di avere un cuore inconsapevole, insensibile alle tragedie del mondo. Oppure al momento della pace, vederli affondare le mani e le braccia il piú possibile nella sabbia, nel tentativo, in mezzo al deserto, di dare la mano a tutti gli uomini della terra… Per dire le lunghe solidarietà, che avrebbero voluto far nascere. Mi sento, ormai, vecchio, ma rendo omaggio, con commozione, a questi giovani, che il deserto ha consolidato o trasformato nei loro aspetti piú sani. E piú belli. Due, infatti, sono ritornati in questa terra per un periodo di volontariato; un altro, per lo stesso motivo, a Bahía de Salvador, altri, ancora…

Incontravamo nel nostro pellegrinaggio al deserto l'ospitalità e la testimonianza di varie comunità cristiane, in terra musulmana. Ci mostravano il volto interculturale, interreligioso, evangelico e coraggioso di questa diocesi nel Maghreb. Un vero laboratorio di comunione. Che accompagna nei piú svariati campi (sanità, migranti subsahariani, insegnamento, universitari cristiani dall’Africa nera, handicappati, associazioni di donne musulmane…) una società cosí differente dalla nostra e la sua crescita. Elogio umile, evangelico, ammirevole dell’alterità. Dalla costa africana davanti a voi e da questa comunità monastica interculturale, vi ricordo. P.Renato

Publicité
Publicité
Publicité